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All’aneme di muert’


Identità e' ciò che fa di ognuno di noi un unicum. Essa è un nome, una storia, e ciò che definisce un prima suggerendo un dopo. È fatta di sembianze, colori, forme e segni distintivi che denotano appartenenza.

Così, similmente, l'identità di un popolo si concretizza in usi e consuetudini; sono le cose che si facevano un tempo e che si continuano a fare, spesso per abitudine, a volte, semplicemente, per rispetto.

Nell'identità di un nocese c'è la festa di San Rocco la prima domenica di settembre, andare "giù" alla Madonna della Croce il 31 maggio. C'è la braciola della domenica e il mercato del martedì.

Perdere questi gesti sarebbe come perdere noi stessi, il mondo da cui proveniamo. Eppure, spesso, il voler essere "moderni", "alla moda", ci porta a perdere di vista le nostre radici, il nostro passato, trascurandolo fino al punto da rendere accettabile finanche l'oblio di usi, costumi, tradizioni.

E' pur vero che "prendere in prestito" quanto di buono c'è presso altri popoli e', spesso, cosa buona e giusta: infatti, immaginare un'esistenza senza jeans, Coca Cola e CSI metterebbe me per prima in crisi.

Ma, mi domando e chiedo: che ci fanno a Noci, la sera del 31 ottobre, gruppi di bambini mascherati come a Carnevale che girano per le strade e le case domandando "dolcetto o scherzetto", quando a Noci una tradizione c'è ed è quella di recitare, la sera del 2 novembre, "All'aneme di muert', o ditt' mamm', ma' de' na fiche?"

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