Donato Bruno, il nocese prestato a Roma
Donato Bruno, il nocese prestato a Roma, il giurista prestato alla politica, l’uomo buono, generoso, onesto, intelligente, rimasto tale – per questi ultimi aspetti, tertium non datur, non c’è prestito che valga – nell’uno e nell’altro caso.
Se n’è andato sicuramente con un ultimo sorriso, ci ha lasciato il suo ricordo meraviglioso cui – al di sopra e al di fuori di qualsiasi schieramento politico – ci inchiniamo.
Non c’è stato chi gli si sia rivolto per presentargli una qualunque necessità e non abbia ricevuto aiuto, per quanto a lui era possibile. In questo, Donato andava persino ultra petita.
In politica, è stato il teorico ed il praticante del dialogo, delle aperture delle non chiusure preconcette, del compromesso onesto che non prevede contropartite, che non indulge a camarille ed agguati.
Personalmente abbiamo raccolto ammirazione e testimonianze di considerazione da parte di suoi colleghi sia avvocati che politici, senza distinzione di posizione.
Il suo aiuto era pronto ai nocesi che, a Roma, giungevano per un’emergenza sanitaria, giuridica, amministrativa. Quando egli, pur impegnandosi, non riusciva a portare tutto l’aiuto che avrebbe voluto, non lesinava il proprio sorriso, la sua mano sulla spalla dell’amico o, addirittura, sconosciuto che gli si era rivolto, la solidarietà e la presenza partecipata e solidale, generosa e mai interessata.
Anche in tempi non sospetti (la candidatura sarebbe stata molto al di là da venire), l’avvocato Bruno ha “professato” nella pratica l’ “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Nella professione – testimonia chi ne è a conoscenza – egli mantenne la stessa condotta severamente giuridica, onestamente praticata. Egli sapeva rifiutare anche difese dal sicuro insuccesso o dalla poco evidente onestà del richiedente. La sua presenza in quello studio professionale di Roma, i rapporti con i colleghi sono stati adamantini e di esempio per molti.
Un’ultima amara notazione non può che rifarsi alla vicenda squallida delle votazioni per l’elezione alla Consulta.
Proprio nessuno, oggi più che mai, avverte lo scrupolo di avergli fatto ingiustamente male, di aver favorito il formarsi delle condizioni propizie all’evento mortale? Quante mani hanno “impastato” il coagulo che s’è inceppato nel fervido cervello di Donato? E non c’è neanche chi può pentirsi per aver ostacolato, senza ragione, la sua nomina a ministro della giustizia.
Se la coscienza di molti, oggi, ha lo spessore della pelle di un elefante, non importa.
Donato, nella sua bontà tutta nocese, li ha già – e da molto – perdonati ed il Signore gli ha assegnato lo scanno ancor più prestigioso e duraturo nel Paradiso.
Nicola Simonetti