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UN REPORT CHE ALLARMA


E' quello (“Guerra in Ucraina: gli effetti su costi e risultati economici delle aziende agricole italiane”) elaborato da ricercatori del Centro CREA Politiche e Bioeconomia, fonte ufficiale UE, che puntualizza le difficoltà del sistema agroalimentare. “Per le 6 voci di costo considerate, che sono – sintetizza Alessandra Pesce, direttrice CREA – fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari, noleggi passivi, l’impatto medio aziendale è di oltre 15.700 euro di aumento, ma con forti differenze, tra i settori produttivi e a seconda della localizzazione geografica".

Ad essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti (tra il 65 e il 70%), sono i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura per l’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti, seguiti dai bovini da latte (+57%). Più contenuti, invece, gli aumenti per le colture arboree agrarie e per la zootecnia estensiva. A livello medio nazionale l’aumento dei costi si attesterebbe al +54% con effetti molto rilevanti sulla sostenibilità economica delle aziende agricole, in modo particolare per le aziende marginali. In termini assoluti le aziende italiane potrebbero subire incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro, che sfiorano i 99.000 euro nelle aziende che allevano granivori.

In definitiva, l’attuale crisi internazionale congiunturale può determinare in un’azienda agricola su dieci (il valore medio nazionale è pari all’11%) l’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendole di fatto dal circuito. Tale percentuale era prima della crisi del tutto irrilevante, pari all’1% delle aziende RICA. Nello scenario ipotizzato nel lavoro si stima che il 30% delle aziende su base nazionale possa avere reddito  netto negativo, rispetto al 7% registrato prima dell’attuale crisi, sempre con una rilevante variabilità territoriale e di specializzazione produttiva.

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