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C’è qualcuno che non l’ha capito. O che fa finta di non capirlo. O che ci prova e, finché gli va bene, va bene. Poi ci sono quelli che proprio non lo sanno.

Cassazione, sentenza n. 13604 del 24 marzo 2014: la pubblicazione e diffusione, attraverso Facebook, di contenuti che offendono la reputazione e l’onore, integrano responsabilità da fatto illecito. Che significa che l’offeso ha diritto a chiedere un risarcimento.

Orbene, tralasciando tecnicismi e parole da studio legale (non è questa la sede), vorrei solo sottolineare che “parlare” sui social equivale a parlare in pubblica piazza. Per cui se uso parole, epiteti, aggettivi offensivi verso qualcuno, potrei essere costretto a risarcirlo, laddove qualcuno si dovesse risentire.

Anche laddove io lanci offese nel mucchio, se l’oggetto delle mie “attenzioni” è facilmente individuabile, scatta ugualmente il reato di diffamazione e poco conta l’aver pubblicato dette offese sul proprio profilo o in commento a qualche altro post.

Traduco per chi ancora non avesse capito o stesse facendo finta di non capire: dare dell’ANALFABETA, o dell’IMBECILLE a persone determinate o comunque determinabili in un post, può essere considerato reato. E quell’analfabeta, o quell’imbecille, potrebbe chiedere un risarcimento. Sappiatelo!

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