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“Noi in gara”, il primo romanzo di Armando Genco


Si intitola “Noi in gara” il primo romanzo scritto dal nocese Armando Genco. Il libro è composto da sette capitoli e 188 pagine e così lo descrive l'autore: “Una foto di copertina niente male. Se lo aprite e sfogliate le pagine ha un buon odore”.

“Non sono Aboubakar Soumahoro, che lotta per i diritti dei lavoratori e immigrati. Non sono Josephine Yole Signorelli (Fumettibrutti) che con la sua arte e il suo impegno sociale continua la lotta contro la disparità di genere. Non sono un giornalista che fa informazione. Non sono un musicista in grado di arrivare al cuore di tutti. Non sono un architetto (ciò che in origine ho studiato per essere)” si presenta così Armando Genco, artista nocese a cui piace immaginare di poter convogliare dentro se tutte queste influenze e farne qualcosa di personale. Essere parte della società aiutando il prossimo.

Ció che Armando ama più fare, però, è disegnare: “Mi sono svegliato molto tardi e reso conto con poco preavviso che la mia passione doveva diventare il mio lavoro per poter vivere sereno. Per anni ho messo a tacere quella mia voce interiore che mi supplicava di continuare a disegnare a favore di un lavoro "migliore", forse maggiormente retribuito, che è quello dell'architetto. Ma la felicità è la parte essenziale della nostra esistenza e se non la inseguiamo non stiamo vivendo. In ultima analisi, non so se sono uno scrittore. Sto solo inseguendo la mia felicità”.

Il romanzo tratta della vita di un ragazzo che “rotola tra le piaghe del destino”. Un susseguirsi di storie d'amore finite male e triste ironia. La spasmodica ricerca di serenità sentimentale. Di colpi inflitti e subiti. “Cosa significa amare? Ognuno di noi ha la propria idea influenzata dal suo vissuto e dal contesto sociale in cui è cresciuto. E ci si ritrova sempre impreparati quando si è davanti all'altro– prosegue l’autore nocese- “Il mio primo editore mi ha proposto di scrivere un romanzo (sessanta pagine Word). Poi la casa editrice per la quale lavoravo ha chiuso i battenti e mi sono ritrovato con questo scritto tra le mani. Ho aspettato mesi prima di inviarlo ad altre case editrici. Ero restio a farlo leggere a chiunque perché tratta argomenti delicati (anche se l'eros fa da padrone). Sono storie di vita vissuta da me o da altri vicino a me. Avevo bisogno di liberarmi dai fantasmi che affollavano la mia mente. È stata una terapia. Un dialogo con me stesso. Più che un dialogo, un rapporto epistolare".

"A volte – conclude Genco – era divertente mettersi a scrivere per ore, altre volte era una tortura perché dovevo ricordarmi di storie che avevo sepolto nel mio passato. Mi piace pensare che il mondo è un posto piccolo e che non dobbiamo temere di comunicare con l'altro i nostri dubbi e sentimenti. Che il tempo non è un flusso orizzontale che scorre in un'unica direzione ma qualcosa di sferico e noi dobbiamo essere in grado di comunicare con il passato, con i grandi autori, artisti e personalità che ci hanno preceduto. Non solo imparare ma… Metterci in gara”.

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