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4 novembre 1945: Una giornata fredda e piovosa ma con un meraviglioso arcobaleno


Noci, 4 novembre 1945 don Anastasio Amatulli prende possesso della nuova parrocchia, di recente istituzione “senza dote e senza civile riconoscimento”, del SS. Nome di Gesù con una cerimonia presieduta dal vescovo di Conversano, mons. Gregorio Falconieri. Si svolse, presenti autorità e molto popolo festante, alle ore 18 di una giornata fredda, piovosa impreziosita non solo dall’avvenimento ma anche da un meraviglioso arcobaleno che, poco prima della celebrazione, si stagliò alle spalle della chiesetta, povera e disadorna.

Quell’insieme di colori fu il messaggio che, dal Paradiso, raggiungeva quel lembo di vecchia costruzione che sapeva di francescano, destinata, nel tempo, a nobilitarsi, ingrandirsi, diventare storia. Ad iniziare dall’“In nomine Domini nostri, pax et bonum” pronunciata dal neo-parroco, don Anastasio Amatulli, di venerata e grata memoria. Una mandato, il suo, che riprendeva il messaggio lasciato, ma dimenticato, di una missione cittadina dei padri passionisti negli anni ’30 al cui ricordo una croce lignea è ancora presente sul lato sinistro della facciata della Chiesa (poco prima della scala che porta al salone delle conferenze intestato all’ins. Maria Plantone come riporta una targa posta all’ingresso interno).

Le parole esaltanti del Vescovo Gregorio (mi confiderà, in seguito, che, poco prima della repentina morte di don Anastasio, egli lo aveva segnalato alla Congregazione dei Vescovi, dove – come da prassi – era stata creata una cartella (chiamata camicia) che avrebbe contenuto biografia, notizie, informazioni sul vescovando) infiammarono l’atmosfera, il battimani prolungato (a quei tempi non si usava farlo in Chiesa) sancì il benvenuto e l’attesa fiduciosa nel nuovo Parroco. Io ero presente alla cerimonia e ne conservo, tuttora, un ricordo commosso.

Il giorno successivo, don Anastasio era già all’opera. Dopo la prima messa da lui celebrata all’altare principale che egli definì – ricordo bene e mi fece impressione ma, quando me lo mostrò da vicino, concordai, pleno corde, con lui – “pacchiano, bisunto e sudicio”, con alcuni volenterosi (fedeli parrocchiane avevano lavato, alla bene e meglio, sacrestia e chiesa), cominciammo a tirar via armadi e tavolo, vecchi e ornati solo dai numerosissimi buchi fatti dai tarli. Non era che l’inizio, vennero, in seguito rifacimento in toto di sagrestia (che, se non ricordo male, non aveva muri intonacati né pavimento), della Chiesa, la costruzione della grotta della Madonna di Lourdes (con sassi che don Anastasio stesso, con altri, rilevò da una grotta – Gemmabella? – sita nelle vicinanze di Noci) e l’illuminato progetto disinteressato del prof. Ing. Pasquale Carbonara, i mosaici, le pitture, le statue, la via Crucis, la biblioteca ecc. Un fervore di opere che, al cospetto di quanto don Anastasio fece per l’elevazione morale e materiale dei fedeli, è pochissima cosa. Due ricordi che mi toccarono furono la confessione e la comunione fatte un giovedì santo (il rito voleva, allora, che ci comunicasse “almeno una volta l’anno”, facendo il “precetto”) ad un’autorità nocese comunista in costanza della recente scomunica di Pio XII per gli appartenenti a quel partito (egli giudicò l’anima, il pensiero, il pentimento, la buona fede della persona) ed il funerale religioso fatto ad un suicida (anatema per quei tempo). Un uomo, un santo di Dio all’avanguardia, pur sempre nel solco della Chiesa, nella spiritualità e nel ministero.

Tra tanto fervore di opere, don Anastasio continuò persino a studiare e si laureò, a Roma, in Diritto Canonico. Mons. Falconieri propose e gli fece ottenere, meritatamente, il titolo di monsignore (a casa sua lo scoprirono solo quando giunse una lettera dal Vaticano). Ancora un’iniziativa di rilievo. Egli seppe ricucire la frattura che, da tempo, vi era tra clero locale e padri della Scala. Al suo insediamento ed alle successive cerimonie solenni partecipò l’abate Ceci; egli si servì dei consigli e della consulenza di don. Agostino Lanzani, ingegnere prima di entrare nell’ordine benedettino, invitò a predicare il triduo per il SS. Nome di Gesù, il benedettino don Prospero Farioli che tanto bene aveva fatto, specie ai giovani di Noci (oratorio, teatrino, ecc), e che, per evitare conflitti ulteriori, era stato richiamato a Parma.

Ricordo imperituro per me: il silenzio profondo (sepolcrale), rotto solo dai rintocchi tremendi della campana della Chiesa Matrice, nel quale Noci tutta cadde durante il passaggio dei feretri per il funerale. A riassumere, l’epigrafe di don Tateo: “mula paucis” ha fatto molte cose in così poco tempo… Per il Signore fu sufficiente e lo chiamò a sé perché, accanto a Lui, egli lo godesse di persona, continuasse a pregare, fare del bene, proteggerci. È quanto Egli fa da 75 anni. Deo gratias.

 

Nicola Simonetti

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